domenica 16 ottobre 2011

Filippi, la Santoni e la De Luca
di David Favia
Quando ti chiedono un ricordo della tua scuola con la scusa che sei un ex studente diventato “conosciuto“, c’è sotto qualcosa: sei diventato vecchio.
Il “Rinaldini” fa ancora parte di me come non fossero passati 41 anni da quando varcai per la prima volta, il primo ottobre 1970, il portone storico di piazza Roma, “rectius” via Zapata (abbiamo o non abbiamo fatto il Classico, che diamine?!): anzi, quei 5 anni mi sembrano volati e la preparazione ricevuta e le persone che ho conosciuto (e molte ancora ne frequento) fanno ancora parte della mia vita quotidiana, quasi dovessi ogni mattina tornare su quei banchi (e man mano che scrivo vengo assalito da immagini, voci e ricordi e capisco sempre meglio quel capolavoro di Pupi Avati che è stato Una gita scolastica).
Forse anche perché ho continuato a vivere “fisicamente” il “Rinaldini” attraverso le mie tre figlie – dal 2000 fino agli esami di stato 2010/2011 – e loro hanno avuto come compagne e compagni figli di miei compagni di scuola. Poi, continuo a vivere il liceo attraverso altri figli di amici più giovani e per i contatti che ho con la scuola come politico.
Ovviamente, molte cose sono cambiate da allora ma sento che tutti, vecchi e nuovi studenti, subiscono il fascino quasi intatto e immutato del Rinaldini e un forte attaccamento ai “colori sociali“.
Mi fa piacere incentrare questo ricordo su un aneddoto e su dei fatti molto formativi che mi hanno messo in relazione con tre professori “burberi” (ma buoni) dal carattere forte (purtroppo tutti e tre scomparsi): Elio Filippi (educazione fisica), Olga Silvestrelli Santoni (matematica) e Maria Costanza Ferrero De Luca (greco).
Ho sempre amato “fare“, e da giovane ero anche un discreto sportivo, circostanza non poi così ovvia per un liceo come il nostro, in apparenza più propenso a partorire “secchioni”. Ebbene, nei primi anni ’70 vengono indetti i “Giochi della Gioventù“: chiedo a Filippi (col quale, dietro mia insistenza, avevamo inventato le prime settimane bianche) di iscrivere una squadra del Classico ai Giochi della Gioventù di pallavolo. Lui, temendo la catastrofe, rifiuta. Allora, complici Franco Brasili e Filippo Grassia, iscrivo ai Giochi di pallavolo una squadra formata da tutti studenti del “Rinaldini” (alcuni della mia classe) denominata GSC (acronimo che, in modo occulto, significava Gruppo Sportivo Classico). Filippi ci segue da lontano e destino vuole che arriviamo alle finali provinciali. La mattina del giorno in cui, nel pomeriggio, si sarebbero svolte le semifinali, ero a lezione e Filippi entra in classe all’improvviso seguito dal bidello “carico” di una decina di divise con i colori del “Rinaldini” e mi autorizza davanti a tutti a giocare a nome della scuola. Per la cronaca, arrivammo secondi dietro alla mitica “Baby-Dinamis” di Falconara che, composta di quasi tutti giocatori di serie A, vinse i Giochi della Gioventù nazionali. Qualche mese più tardi affrontammo una staffetta 4x100 ai campionati provinciali studenteschi: per la prima volta nella storia del Classico arriviamo in finale. In quarta frazione prendo il testimone per ultimo, quando alzo la testa vedo Filippi in camicia bianca e a braccia larghe che sta in piedi nella mia corsia, oltre il traguardo. Non so come, arriviamo terzi e finisco la mia corsa, mezzo morto, nelle sue braccia.
Ancora oggi mi vengono i brividi e le lacrime agli occhi (anche per quanto erano ruvide quelle divise di lana grezza degli anni ’30).
“La Santoni“: così era chiamata, con confidenziale semplicità.
Alle medie ho avuto una prof. di matematica terribile. Uno dei motivi per cui ho scelto il classico è stato proprio l’odio per la matematica. Convinto che al classico la matematica non contasse, nelle prime settimane del quarto ginnasio non apro libro – fra le altre cose, ignoravo che Carlo Rinaldini fosse un matematico. Ovviamente arriva la prima interrogazione e faccio scena muta. La Santoni mi chiama da parte alla fine dell’ora e mi dice, con la sua calma che non ammetteva repliche: “So che puoi far bene e che forse hai i tuoi motivi per fare quello che hai fatto. Ti do un mese di tempo per metterti alla pari e poi ti interrogo”. Quel gesto di fiducia mi aprì un mondo (forza della pedagogia!): da quel momento ho sempre avuto nove di matematica.
“La De Luca” (e correva il terrore al solo nominarla).
Piemontese d’altri tempi, la Costanza Ferrero viveva con sufficienza il nostro mondo, quasi fosse appena uscita dal Gattopardo. Ogni sua parola era un ordine incontestabile (e nessuno si sognava di contestarlo). All’esame di stato esce greco orale. Ovviamente a nessuno viene in mente di portarlo come prima materia: il che non era il massimo per l’immagine della prof. di greco. Avevo fatto il drammatico errore di vincere, assieme al mio compagno Franco Dolcini, uno dei cinque premi dell’annuale concorso dell’INDA (Istituto Nazionale del Dramma Antico) di Siracusa con un lavoro su Le Troiane di Euripide.
Mentre stavo preparando l’orale, avendo già scelto come materie italiano e filosofia, ricevo da Costanza De Luca una telefonata: col suo accento piemontese da colonnello dei Cacciatori delle Alpi mi fa: “Favìa, tu porti greco orale come prima materia, vero?“ “Sì, professoressa”, subito le dico. E la mattina dopo andai a cambiare la scelta.
Fosse possibile tornerei a quei tempi di corsa.
L’unica cosa che mi consola è che questa scuola continuerà a sfornare persone preparate di cui la nostra società ha tanto bisogno. Grazie Carlo (Rinaldini).

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